Attualmente il settore delle TLC è in sofferenza. Ma risanarlo si può: basta ripartire dalla formazione. Per richiamare nuove figure professionali e rendere più competenti quelle già esistenti.
Abbiamo quindi approfondito il tema con Paolo Bussalino, esperto di settore da più di vent’anni, oggi sales manager di FBC e responsabile di sviluppo di UMA, l’Utility Manager Academy, per quanto riguarda i corsi TLC.
TLC, un settore in crisi
«Il settore delle TLC è in crisi perché c’è stata una rincorsa tecnologica durata molti anni, in cui vi sono state nuove offerte di servizi, su cui però nemmeno gli operatori erano davvero preparati. Ovvero, gli operatori vendevano un servizio di cui non avevano completa comprensione, figuriamoci i consumatori, che si affidavano, trovandosi poi con un disservizio che nessuno sapeva gestire.
Proprio a sostegno di questa tesi, porto l’esempio dei voucher connettività erogati qualche anno fa, in epoca Covid: l’intento era nobile – quello di favorire il diritto di ognuno, anche le famiglie meno abbienti, di godere di collegamenti Internet a banda ultralarga a costo quasi prossimo allo zero. Ma se alla sola politica di prezzo, non si fa seguire un’educazione sulla materia, l’operazione non può prendere il volo. E infatti è stato un buco nell’acqua».
Nel settore della telefonia, soprattutto la mobile, è evidente come tutto si sia giocato sul prezzo… «I diversi operatori si sono fatti la guerra sul prezzo, giocando al continuo ribasso, ma questo ha portato ad appianare la marginalità di profitto, senza contare che tendenzialmente il mercato delle TLC si satura abbastanza velocemente. Ovvero, difficilmente un’azienda o un privato che si trova bene con un’offerta di un operatore, cambierà, a meno di un prezzo ancora più stracciato o un’innovazione incredibile. Ma non siamo di fronte a nessuno dei due casi, quindi non vi è più competizione».
Puntare tutto sul prezzo quindi non è stata la manovra giusta? «Affatto. Le aziende operanti nel settore della telefonia, soprattutto quella mobile, hanno puntato tutto sul rubarsi i clienti a vicenda, facendo leva sul ribasso del prezzo, ma questo è stato un boomerang. Anche perché continuare ad abbassare i prezzi ha significato abbassare anche le eventuali provvigioni sulle quali guadagnavano gli agenti».
La soluzione? Formazione e competenze
Il settore quindi è stagnante, sia nei profitti che nel lavoro. «Manca il ricambio generazionale di manodopera. La complessità del settore è sempre più alta, e le maestranze che vi lavorano sono quelle di decenni fa. Il focus dev’essere rivolto nel trovare nuove figure e formarle, per renderle davvero competenti.
Manca qualcuno che sappia fare, ma anche qualcuno che sappia vendere, avendo piena comprensione di ciò che sta vendendo. Fare l’agente non è una professione che si può improvvisare, occorre abbinare allo studio, anche molta pratica sul campo, con tirocini o stage.
Manca la cultura nel settore: facendo cultura, si può creare quella voglia che spinge le nuove leve a intraprendere questo mestiere e a chi ci lavora già, a migliorare le proprie competenze».
L’Utility Manager? L’anello di congiunzione
«Intanto, partiamo da un assunto: l’Utility Manager non è un venditore, ma un consulente. È imparziale il suo operato: ha il compito di suggerire al cliente le migliori offerte, di affiancarlo nella scelta dell’operatore più vantaggioso. Non lavora per un operatore in particolare, ma per il cliente. Il suo focus è la soddisfazione del cliente».
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